Caccia libera?

In un altro post avevo parlato della scarsa tendenza di questa maggioranza governativa ai temi verdi: indifferenza al riscaldamento globale, con tentativi di negarlo, ripresa della politica nucleare, libertà di cementificazione (proposta dal premier per ingrandire liberamente le proprie case), e, ultimamente proposta di dar libertà alle regioni di allargare il periodo di caccia.

I cacciatori naturalmente esultano e, come sempre, a cominciare dalle prime battaglie culminate con il referendum, fallito, sulla caccia, si proclamano amanti della natura, più degli ecologisti, quasi come se gli animali straziati dai loro fucili, non appartenessero alla natura, e come se la fruizione della natura dovesse prescindere dal portare con sé un’arma da fuoco..

Checché se ne dica, penso che chi pratichi la caccia, oltre ad essere indietro di qualche decennio con il modo di pensare (ma non se ne preoccupino che sono in buona compagnia…), abbia nel suo subconscio tracce di sadismo: provare piacere provocando sofferenza non lo considero un comportamento del tutto “sano” (non voglio neanche pensare a ciò che penserebbe Freud sul simbolo del fucile).

Si badi bene che non sostengo che facciano qualcosa contro la legge, che anzi è al pari del loro modo di pensare: arretrato.

Vediamo di analizzare le loro ragioni e di vedere se tale riprovevole comportamento, chiamato hobby, sia del tutto necessario.

Una di queste ragioni, comune alla maggioranza dei cacciatori (almeno così si giustificano spesso), come dicevo sopra, è il piacere di stare in mezzo alla natura, gustare le passeggiate in campagna all’alba, aspettare al varco gli animali. Quale potrebbe essere un’alternativa a questo piacere?

Ad esempio il birdwatching (l’osservazione degli uccelli con il binocolo), oppure, se proprio non possono fare a meno di vedere gli animali attraverso il mirino, la caccia fotografica (o la cineripresa). Una macchina fotografica con un grande teleobiettivo e gli stessi comportamenti che nella caccia: appostarsi, aspettare, passeggiare, godersi la natura. Inoltre, premendo il pulsante di scatto, praticamente farebbero la stessa azione che sparare: in inglese, infatti, “sparo” e “foto” si traduce con la stessa parola: “shot”. Quali sarebbero i vantaggi? Minore costo (una volta in possesso dell’attrezzatura i costi sarebbero quasi nulli), poter avere dei “trofei” da mostrare al pubblico e averne anche diversi dello stesso esemplare di animale, in diversi atteggiamenti; avere a disposizione qualunque tipo di animale e non solo quelli cacciabili (e quindi una vasta scelta), e poter effettuare queste passeggiate in mezzo alla natura tutto l’anno.

Posso anche credere che alcuni non conoscono questa alternativa e non l’hanno presa in considerazione, ma non penso che la maggioranza non ne sia a conoscenza e qui ritorniamo a quanto ho affermato più sopra: il vero piacere è provocare morte. Non so, probabilmente per un senso di onnipotenza: essere padrone della vita di un essere senziente, ma solo nel senso negativo (=ammazzare). Infatti, scegliendo la caccia fotografica, manterrebbero lo stesso questo senso di onnipotenza, notare infatti che un sinonimo metaforico di fotografare è “immortalare”, rendere immortale, ma si vede che questo non è sufficiente per loro. Ma il fatto di morire non è la peggior cosa che possa capitare agli animali (uno sparo, tutto finito…), nel peggiore dei casi, gli animali possono venire feriti e quindi soffrire diverso tempo prima che la morte li “liberi”. E qui richiamiamo il “sadismo”. Infatti non è che per ignoranza non sappiano che un animale soffre, ne sono perfettatmente coscienti: non appena il loro fido amico ha un piccolo disturbo non esitano a spendere soldi per farlo curare dal veterinario. Semplicemnte pensano che la sofferenza del loro cane sia diversa da quella degli altri animali.

Uno “svantaggio” della caccia fotografica (o delle riprese) potrebbe essere che le foto non si mangiano, anche se spesso molti cacciatori non mangiano neanche la loro selvaggina. Ma un piccolo sacrificio è sempre necessario per una causa giusta. In fondo non si chiede di diventare vegetariani, ma di cambiare il tipo di carne (senza contare che qualche tipo di selvaggina già viene allevata… e poi sparata).

Ma spesso, quando fa loro comodo, riescono anche a far funzionare la logica: “Che differenza c’è nel mangiare selvaggina invece di carne allevata? Solo chi è vegetariano potrebbe criticarci, visto che per gli altri si tratta solo di ipocrisia”.

Effettivamente al livello di principio tra il mangiare cacciagione o carne allevata non c’è nessuna differenza, anzi, a livello teorico sarebbe preferibile mangiare la cacciagione: l’animale vive libero e inconsciamente felice fino a che, improvvisamente cessa di esistere a causa dell’intervento dell’uomo. Al contrario dell’animale di allevamento che, spesso vive anni costretto in una piccola gabbia in cui non può neanche muoversi. Ma la teoria non è conforme alla realtà: non sempre la morte è istantanea, spesso l’animale rimane ferito e se non viene raccolto continua a soffrire a lungo, spesso viene braccato e prima di essere ucciso è costretto a subire il terrore del predatore che si avvicina sempre più. Avete mai provato veramente paura? Ma non la solita paura che si prova, ad esempio, davanti ad un intervento chirurgico o a farsi togliere un dente. Infatti, noi siamo coscienti di cosa causa la nostra paura. Negli animali la paura è molto diversa, ogni volta il loro istinto di autoconservazione crea in loro un panico che dà loro le istruzioni per combattere ogni volta per la sopravvivenza.

Poi c’è il discorso ecologico: se non si tratta di animali “lanciati” (di conseguenza d’allevamento) spesso parliamo di animali selvatici che potrebbero rischiare l’estinzione presi da due fuochi: quello, letterale, dei cacciatori e quello metaforico dell’inquinamento ambientale. Spesso si innesta una circolo vizioso: uccidendo degli uccelli insettivori (che si nutrono di milioni di insetti all’anno), il conseguente aumento di insetti nocivi fa aumentare l’uso dei pesticidi che a sua volta inquina l’ambiente in cui vivono gli uccelli, e così via. A ciò vanno aggiunti gli animali protetti che vengono uccisi per sbaglio (in genere quando succede questo sono sempre gli “altri” cacciatori che sbagliano…).

Una precisazione, infine: paragonare a livello ecologico la caccia alla pesca (con la canna, naturalmente), non ha senso, in quanto ogni pesce può rilasciare migliaia di uova, a differenza degli uccelli o dei mammiferi che hanno cucciolate molto ridotte.

Un’altra cavolata che tirano in ballo i cacciatori è quella che l’uomo è in cima alla piramide ecologica e quindi non è che un anello della catena naturale.

Allora, per prima cosa c’è da dire che l’animale uomo ormai è l’unico animale che potrebbe star tranquillamente fuori di questa piramide senza che quest’ultima si disfaccia. L’unica sua influenza è nella distruzione dell’ambiente. Se si estinguesse, l’ecosistema sopravvivrebbe lo stesso. Forse una volta ne faceva parte, ma ora sicuramente non più. Quando qualcuno racconta che con la caccia non facciamo altro che la selezione naturale dice una stupidaggine. I predatori naturali infatti “scelgono” le prede più deboli perché malate, o con qualche difetto (dico “scelgono” nel senso che sono le prede più deboli ad essere sopraffatte per quelle cause), e quindi queste prede hanno meno possibilità di trasmettere ai dicendenti i geni delle malattie di cui soffrono, oppure con l’eliminazione di un animale che si mimetizza meno bene di un altro, non si fa che trasmettere i geni dei meglio mimetizzati, e così via. Quando si ha di fronte un’arma da fuoco, hai voglia ad essere il più veloce della tua specie, corri sempre meno di un proiettile, quindi tra un animale più debole, ed uno più forte il fucile non fa differenza.

In conclusione, mentre un tempo la caccia faceva parte del corso della vita e a volte dava anche il necessario per sopravvivere, ora tale pseudosport non ha più senso di esistere. Anche il modo di pensare è cambiato e si è evoluto anche in tutto il mondo civilizzato, il razzismo non esiste quasi più, le donne hanno gli stessi diritti. Forse non è venuto ancora il momento in cui tutti diventino vegetariani (anche se un po’ alla volta ci stiamo accorgendo che l’attuale sistema di allevamento non potrà produrre cibo per tutta l’umanità), ma non c’è dubbio che c’è sempre più gente, con un minimo di cervello che si rende conto che è arrivato il momento di guardare con occhi diversi allo sfruttamento degli animali, che comincia a pensare che anche gli altri animali hanno dei diritti. Come dicevo, magari non sono pronti a diventare vegetariani, ma questa gente pensa che il divertirsi con la sofferenza di esseri senzienti non sia una cosa giusta: caccia, circhi, zoo, vivisezione, ecc.

Non pretendo che una categoria come i cacciatori arrivi a questi concetti facilmente, forse tra qualche decennio, cominceranno a pensarci. Per ora questa categoria se vede che qualcuno vola un po’ più in alto con gli ideali, l’unica cosa che sa fare è tirargli un paio di colpi di doppietta…

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Se questo è un… giornale

Ecco due prime pagine del quotidiano (lo chiamo così solo perché viene pubblicato ogni giorno) La Padania. Cosa c’è di strano in queste due prime pagine? Per prima cosa bisogna leggere le date di pubblicazione: 14 gennaio la prima pagina a sx, 15 gennaio quella a dx.

Prima pagina La Padania del 14.01.2010 Prima pagina La Padania del 15.01.2010

 

 

 

In_genere quando si prendono in mano dei giornali a distanza di diversi anni, per capire di che periodo sono, è sufficiente leggere i titoli principali. Nel nostro caso, stiamo parlando di qualche giorno fa, potremmo fare l’operazione inversa: cosa è successo di molto importante? E poi andare a cercare la notizia sulla prima pagina del quotidiano. Non mi sembra ci voglia molto, no? Tutti i giornali italiani e del mondo fanno titoli e aprono le loro edizioni con quello che è successo a Haiti. Ecco, andiamo a cercare, sulla prima pagina della Padania, quella del giorno dopo il terremoto, la notizia della catastrofe che verosimilmente conterà più di centomila morti. Per agevolare la ricerca vi consiglio una lente e poi andate a leggere la riga più in basso nella prima pagina. Trovata? Una riga, quasi illeggibile, per dare notizia di una delle catastrofi più gravi degli ultimi anni. Sarà perché la notizia è arrivata poco prima della stampa del giornale? No! C’è stata tutta la giornata di tempo. Non si sono subito resi conto della gravità? Neanche! Guardate la prima pagina di due giorni dopo. Provate a cercare il titolo della notizia. La lente stavolta è inutile: la notizia non c’è (almeno in prima pagina).

Ora cerchiamo di analizzare gli eventuali motivi di questa scelta.

Sicuramente c’erano tutte notizie più importanti. Visto il grande attaccamento e la devozione della Lega al cristianesimo, era sicuramente necessario mettere in risalto che quegli atei del Parlamento Europeo avevano impedito di far affiggere per legge il crocifisso nelle aule scolastiche, per il quale Borghezio si lamenta. Magari avrebbe potuto esserci posto nella stessa riga in basso? Eh no! Non si possono eliminare le nostre radici religiose e per questo non poteva certo mancare l’importante notizia sul concorso per i presepi.

In fondo chi sono mai questi haitiani, saranno pure cattolici (per l’80% della popolazione), ma spesso contaminano il cattolicesimo con riti voodoo (sarebbe molto più comprensibile contaminarli con riti celtici!), e poi hanno anche un altro difetto: sono per la maggior parte negri. Magari se fossero stati anche meno, ma uccisi dai cattivi musulmani (che ormai minacciano la nostra patria), come i cristiani copti massacrati in Egitto, un titoletto se lo sarebbero meritato anche con foto di croci in fiamme.

Questi, invece, saranno stati anche un po’ di più, ma in quello che è successo non c’entrano i musulmani, e poi, oltretutto, sono anche stranieri. Ce li hanno tutti i difetti. Ma non preoccupiamoci, non appena tenteranno di sbarcare sulle nostre coste riceveranno tutta la loro attenzione.

Per ora i leghisti sono occupati a difendere le nostre radici cristiane…

 

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Google e Zamenhof

 Oggi, 150 anni fa, nasceva un piccolo grande uomo. Una mente geniale che fin dall’infanzia non ebbe altro scopo che ideare quella lingua che sarebbe diventata, 28 anni dopo l’esperanto. Ques’uomo si chiamava Ludwik Lejzer Zamenhof.

Oggi Google festeggia il suo giubileo con la bandiera esperantista che sventola.

Google e l'esperanto

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WinforLife

Da quando ho scritto il post sulla truffa del SuperEnalotto è uscito un nuovo gioco a premi che sta godendo di enorme popolarità. È un po’ più complicato del SuperEnalotto e si vincono meno euro ma le probabilità sono sicuramente molto più alte del primo (non è che ci vuole molto sforzo, visto che il nostro SuperEnalotto dovrebbe essere il gioco più svantaggioso del mondo o uno tra i più svantaggiosi).

Il funzionamento di WinforLife, questo è il suo nome, è il seguente: si giocano 10 numeri su 20 e si vince indovinandone 7-8-9 o 10. C’è un ulteriore numero (= numerone), tra venti, scelto automaticamente a caso e se anche quest’ultimo viene estratto (con un ulteriore estrazione), e quindi si indovinano 10 + il numerone, si vince una rendita di 4000 € mensili per venti anni. Una giocata costa un euro. Se si giocano due euro è possibile avere il doppio delle possibilità, infatti si vince anche con i numeri complementari, nel senso che si vince anche indovinando 0-1-2 o 3 numeri, e se si fa 0 e si indovina il numerone, è come se si fosse indovinato 10 numeri, e si vince la rendita ventennale. Ogni giorno ci sono 13 estrazioni orarie, dalle 8 alle 20.

Il montepremi è il 65 % dell’incasso totale, il restante va allo Stato che ne destina una parte alla ricostruzione dell’Abruzzo. Del Montepremi il 42% viene destinato al 10 (o 0) + il Numerone. Per le vincite non c’è una somma fissa, a seconda del montepremi di ogni estrazione si decide la vincita che in ogni caso si avvicina molto ai 10000 € per il 10, circa 100 € per il 9, circa 10 € per l’8 e 2 € per il 7. Da notare bene che se in uno stesso concorso ci sono più di un vincitore di 10+Numerone, il montepremi si divide per quanti hanno fatto lo stesso punteggio.

Già a prima vista si può notare che sicuramente è più vantaggioso del SuperEnalotto, ed inoltre ci sono anche vincite minori. La popolarità inoltre è anche dovuta al fatto che non si vincono cifre stratosferiche, la cui gestione a molti creerebbe più problemi che vantaggi, ma una rendita che molti vedono come una sicurezza per il futuro.

Ed ora veniamo alle note “dolenti”. Naturalmente non è da paragonare affatto al SuperEnalotto in quanto non c’è confronto ma oggettivamente c’è da dire che non è facilissimo vincere la rendita ventennale.

Se si giocasse 40 volte ogni settimana per 9 anni di seguito ci sarebbe 1 probabilità su 100 di azzeccare il 10 + il Numerone, stessa probabilità di fare 8 con una giocata.

Come si vede non è la cosa più semplice di questo mondo, d’altra parte niente viene regalato.

Il consiglio in questo caso, potrebbe essere lo stesso che per il SuperEnalotto (= preferibilmente non giocare), ma con meno rigidità. Se si capita nella ricevitoria una giocata di tanto in tanto non rovina nessuno, ma attenzione, il pericolo più grosso in questo gioco è la dipendenza: tredici estrazioni al giorno possono spingere a giocare quotidianamente diverse volte ed è esperienza ormai accertata che giocare troppo frequentemente può portare ad una dipendenza tale e quale alla droga.

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Lega e burqa (niqab)

La Lega non smentisce la propria lotta al diverso e in nome di una sua concezione di legalità non perde occasione per andare all’attacco degli stranieri onesti, colpevoli di essere diversi dalla loro concezione di conformità. Ora l’attacco è al burqa. Vogliono fare una legge che punisca chi indossa tale indumento.
Magari si pensa che voglia difendere i diritti delle donne, oppure qualche tipo di libertà, ma la vera ragione è combattere il diverso, in questo caso il due-volte diverso: straniero e di altra religione.
Prima di affrontare l’argomento è necessario chiarire di cosa stiamo parlando. Il hijab è il velo tradizionale quello che vediamo spesso portato dalla maggior parte delle donne emigrate, quello che copre i capelli e lascia libera la faccia; il niqab è il tradizionale velo intorno ai capelli (il hijab), in genere con un velo ulteriore che copre il viso fino agli occhi; il burqa è una sorte di veste a lenzuolo che copre completamente la donna, lasciando un buco rettangolare, del tutto libero oppure con una specie di retina, al livello degli occhi (molto tradizionale in Afghanistan).
La legge che si vorrebbe modificare è la cosiddetta legge Reale1, promulgata negli anni di piombo, il cui spirito era quello di permettere di riconoscere chi sparava addosso ai poliziotti durante le manifestazioni. Che poi abbia funzionato o meno è un altro discorso: andare a prendere un manifestante mascherato, dentro un corteo, effettivamente non era e non è la cosa più saggia da fare. La legge, per lasciare ampi spazi di libertà, riservati specialmente alle nostra tradizioni nazionali (vedi anche carnevale), specifica che è perseguibile chi non si rende conoscibile “senza giustificato motivo”.

Se fosse una battaglia contro lo sfruttamento delle donne, sarebbe ben meritoria. Infatti favorevole a questa legge è Emma Bonino che non ha sicuramente intenti reconditi contro il niqab. Ma pensare che alla Lega interessi la libertà delle musulmane è un pio desiderio. Purtroppo quella della Lega è soltanto un seguito delle battaglie che sta portando avanti contro gli stranieri, delinquenti e non, senza alcun discernimento. La solita battaglia contro il diverso e per la cosiddetta tradizione cristiana di cui loro si considerano depositari, salvo poi divorziare, sposarsi con il rito celtico, respingere “cristianamente” i diseredati, ecc.
Nelle osterie padane, se qualcosa esce leggermente dagli schemi, il cervello dei frequentatori va in cortocircuito: maschio-femmina, bianco-nero, italiano-straniero, cattolico-altra religione, ecc.
Purtroppo la questione effettivamente è un po’ più complicata del “bianco-nero”, limite invalicabile del cervello leghista, ci sono implicazioni un po’ più profonde:
1) La libertà della donna.
2) La libertà di religione sancita dalla nostra Costituzione.
3) Tutela della sicurezza pubblica

1) Per iniziare, una piccola nota storica. È necessario precisare che il velo è entrato nella cultura araba attraverso tradizioni cristiano-orientali dell’impero Bizantino. Ma ancora prima dei bizantini già San Paolo aveva dettato delle norme che si sono mantenute fino a qualche anno fa, se non continuano in certi luoghi.
[3] Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. [4] Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. [5] Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. [6] Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. [7] L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. (Corinzi I, 11)
È evidente che obbligare la donna che si mette il niqab (o qualunque altro indumento) contro la sua volontà, è una illeggittimità e va contro tutti i nostri principi di libertà che ci siamo guadagnati dalla Rivoluzione Francese in poi.
Il significato “ufficiale” di tale indumento è nascondere agli occhi estranei le parti belle della propria persona, affinché le donne possano mostrarsi nella loro interezza solo al marito e ai familiari. Attualmente è diventata anche un affermazione della propria identità. A questo c’è da aggiungere anche un retrosignificato antropologico. In pratica, una forma di erotismo: nascondere per far immaginare, eccitare. Spesso gli occhi di queste donne sono truccati, e il trucco degli occhi non serve altro che a accentrare l’attenzione sull’iride, visto che le pupille sono segnali di disponibilità sessuale: la pupilla di fronte alla vista del proprio partner (o di qualcuno che piace) si dilata. Insomma una scelta di “piacere” al proprio uomo, come potrebbe essere quello di indossare scarpe con tacchi a spillo. Quante donne “nostrane” li indossano? Naturalmente loro dicono che è una loro libera scelta e che si sentono a loro agio indossando qualcosa che piace loro. Ma il fatto è che essi sono anche un segnale erotico molto forte per gli uomini. Perché nessuno vuole liberare le donne dalla tortura dei tacchi a spillo?
Neanche quella ex parlamentare di destra, che va predicando di voler dare la precedenza agli italiani nell’assegnazione di alcuni diritti (provenienti da tasse pagate), ma che va matta per le scarpe con tacchi stratosferici.
Probabilmente la maggioranza delle donne non è cosciente di questo “segnale”, come non si rendono conto che ogni indumento viene “costruito” da secoli per attirare il membro della specie di sesso opposto. Il coprirsi le spalle, o il divieto di entrare nelle chiese in calzoncini, non è che coprire segnali sessuali… Perché nessuno si scandalizza di questi stupidi divieti?
Alcuni obietteranno che le donne cattoliche portano il velo solo in chiesa, o nelle celebrazioni religiose all’aperto. Ma il concetto di rapporto con dio non è per tutte le religioni uguale, i cattolici, sembra, che una volta usciti dalla chiesa lo rallentino, ma ci sono religioni in cui è un rapporto continuo anche negli atti quotidiani. Per un confronto si pensi alle suore che, anche se escono dal convento non si mettono in “borghese”. Molte donne si sentirebbero sottomesse anche se indossassero gli abiti monacali, ma nessuno si scandalizza di vedere nelle strade queste monache coperte dalla testa ai piedi con solo la faccia visibile.
Il perché mi sembra evidente: una persona maggiorenne è padrona di indossare ciò che vuole. Ma allo stesso modo, perciò, deve essere libera chi volesse indossare il niqab, no? Naturalmente la Lega pensa che chi è ospite in casa d’altri debba comportarsi da ospite e per questo tutti quelli che deviano un po’ dalle loro concezioni di conformità dovrebbero tornare a casa loro e non verrebbe mai nella loro povera mente che magari tra i musulmani ci potrebbero essere anche italiani con i loro stessi diritti. Se tutte le ragazze musulmane immigrate, indossassero scarpe con tacchi a spillo sicuramente non si scandalizzerebbero, se queste ragazze partecipassero alle selezioni per diventare veline, o a festini in ville varie, tanto meno…
Il problema potrebbe nascere con le ragazze minorenni. Imporre un indumento ad una minorenne non è che sia il massimo esercizio di libertà, ma se qualcuno appartiene ad una religione deve poter essere libero di seguirla nei suoi precetti. Non mi pare che si scandalizzi quando si “obbligano” i propri figli ad andare a messa (se non ne hanno voglia) o a frequentare il catechismo (invece di andare a giocare).
Mi pare che la maggioranza dei credenti pensa che sia giusto inculcare la propria religione nelle menti dei bambini, fin dalla nascita, e quindi perché scandalizzarsi se una religione fa vestire in qualche modo i propri figli? O forse che bisogna educare solo a quella che si considera la “vera religione”? (Naturalmente si tratterebbe di quella cristiana, per la maggioranza degli italiani). Come si vede la questione alla base del rapporto con i minorenni è se sia o meno giusto educarli religiosamente (su questo tema si legga qui).

2) La Costituzione, questo assurdo ostacolo di fronte alla Lega, che, se potessero, modificherebbero anche nella prima parte, sancisce che tutte le religioni sono sullo stesso piano. Probabilmente nelle loro osterie non è un libro molto presente sui tavoli e quindi non lo sanno, ed infatti, ovunque amministrino, cercano di impedire che vengano costruite nuove moschee.
Ogni cittadino è libero di professare la religione che vuole. Ed a questa libertà seguono i precetti di tale religione, validi fino alla salvaguardia della salute dell’individuo. Quest’ultima salvaguardia addirittura perde vigore fondendosi con il diritto a rifiutare le cure.
Quindi, impedendo ad un individuo di indossare un indumento previsto dalla propria religione, si limita la libertà di religione. Stiamo parlando di persone che  lo indossano di propria volontà, naturalmente. Sempre in questo caso, se impedissimo di indossare un indumento con l’intenzione di “liberare” la donna da questo obbligo (nonostante il suo rifiuto) non sarebbe come voler impedire alle monache di clausura (o ai monaci) di rinchiudersi in un convento a vita senza avere rapporti con l’esterno ? Una specie di “esportazione della libertà” di triste memoria. E se pensiamo a che vita fanno dentro questi conventi, mi pare chiaro che è preferibile andare vestiti con un velo che stare tutta la vita rinchiusi spesso anche mortificando la carne.. Oppure è più ragionevole che una donna si sottometta ad una entità “immaginaria”? La lega naturalmente non ci ha neanche pensato in quanto nella sua mente non alberga minimamente il concetto di libertà della donna.

3) Il problema della sicurezza e la legge Reale1 sembra che in qualche modo siano nati con il terrorismo. Infatti prima di tale periodo non se ne sentiva il bisogno. Attualmente, a parte durante le manifestazioni, dei posti delicati per andare con il volto coperto potrebbero alcune città italiane (ad alta densità delinquenziale), dove chi gira con il casco integrale desta forti sospetti di essere uno scippatore o un killer (ma in genere i rapinatori o scippatori cercano di passare inosservati e vedere una donna in niqab sulla motocicletta sarebbe un po’ estemporaneo). Altra ipotesi "delicata" più verosimile, potrebbe essere la banca, dove però potrebbe essere stabilito di farsi riconoscere prima di entrare. Una volta all’interno è naturale che per le operazioni gli impiegati debbano identificare l’eventuale cliente. Stesso discorso vale anche in qualunque ufficio pubblico o a richiesta di pubblici ufficiali: le donne velate debbano mostrare l’intera faccia per poter essere riconosciute. Ma questo accade già ora.

Analizzati i suddetti punti, quali sono le principali riflessioni?
La vera priorità è la libertà dell’individuo, nel nostro caso della donna (fino a che non limiti la libertà altrui). Questa dovrebbe essere la linea guida per salvaguardare questa libertà. Purtroppo, la Lega, pur essendo alleata al Popolo delle (cosiddette) Libertà (sic!), salvaguarda solo le libertà che più l’aggradano, mentre quelle individuali vorrebbero limitarle, specie quando si tratta di libertà laiche o (altrimenti) religiose.
Subito dopo viene la libertà di religione che è subordinata alla libertà dell’individuo. Quindi principalmente deve essere salvaguardata la libertà di scegliere. Poiché però tale libertà a volte è nascosta dalla sottomissione della donna alla propria famiglia, bisognerebbe probabilmente creare una legge ad hoc, che punisca chi obblighi la propria moglie o familiare ad indossarlo, contro la sua volontà, magari rendendo la denuncia non remissibile, come già accade per la violenza sessuale, per la ragione che sotto la pressione dei familiari potrebbero “ripensarci”.
Inoltre, affinché lo Stato, dovendo restare laico, non arrivi a compiacere ogni tipo di precetto religioso, che in genere sono retaggi superstiziosi, una buona soluzione potrebbe essere quella adottata dalla Francia: in luoghi appartenenti alla Pubblica Amministrazione, scuole, uffici statali, piscine pubbliche, ospedali, ecc., non viene riconosciuta, né, tantomeno, preferita, alcuna religione e non è permesso entrarci con simboli religiosi, ciò per “rendere libere” le donne che sono costrette, loro malgrado, ad indossare indumenti non graditi o a comportamenti dettati da retaggi religiosi, come ad esempio non poter essere visitate da medici uomini.
Quest’ultima sarebbe probabilmente la soluzione ideale ma in questa repubblica in cui la "sana laicità" viene definita dalla Chiesa Cattolica non la vedo ancora praticabile. E così in Italia ci ritroviamo con la tendenza opposta. Assecondare tutti i precetti religiosi per una malintesa libertà di culto.


Note

1) Legge n.152 del22 maggio 1975, Art.11:

È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico senza gisutificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne di carattere sportivo.(…)

 

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