Dall'inizio della cosiddetta civilizzazione gli animali non sono mai stati considerati degni di rispetto, esseri viventi con diritti propri (almeno nel pensiero occidentale). Già nella Bibbia si parla dell'uomo creato ad immagine di Dio, e Dio stesso dice che gli uomini devono essere al di sopra delle creature terrestri: "Dio disse: la terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra".1
Ecco una delle origini del pensiero occidentale. Il secondo proviene dalla tradizione greca. Di quella tradizione, Aristotele è il più importante fondatore del nostro attuale pensiero. Lui asseriva che la natura è una gerarchia dove gli essere razionali sono fatti per quelli con più grandi capacità razionali: "Le piante sono fatte per gli animali e gli animali per l'uomo, quelli domestici perché ne usi e se ne nutra se non tutti, almeno la maggior parte, perché se ne nutra e se ne serva per gli altri bisogni, ne tragga vesti e altri arnesi. Se dunque la natura niente fa niente né imperfetto né invano, di necessità è per l'uomo che la natura li ha fatti, tutti quanti.".2
Durante i secoli, l'idea principale delle relazioni tra uomini e animali è restata, con alcune eccezioni (San Francesco d'Assisi, Leonardo da Vinci, Michel de Montaigne, ecc.), quella di Aristotele, con punte negative come quella di Cartesio che distrusse l'immagine degli animali, come esseri senzienti.
Fino al XVIII secolo, tuttavia, nessun filosofo, nelle sue teorie trattò gli animali come degni di alcuna considerazione. Nelle diverse teorie il ragionamento filosofico si ferma sempre davanti al problema degli esseri non umani, ignorandoli, dedicando loro solo alcune righe, come in Kant:"Per quel che riguarda gli animali, essendo dei semplici mezzi, privi di una coscienza di sé, e l'uomo essendo invece il fine, per cui non si può porre la domanda perché vi sia l'uomo, domanda al contrario lecita nei riguardi degli animali, non vi sono verso di essi dei doveri diretti, ma solo doveri che sono doveri indiretti verso l'umanità".3
Durante la stessa epoca di Kant, si accende un lumicino nelle tenebre. Un filosofo utilitarista, Jeremy Bentham, prende in pieno la vera essenza del nostro problema. Nella sua opera Introduction to the principles of morals and legislation (Introduzione ai principi delle morali e delle leggi) dice: "Verrà il giorno in cui il resto degli esseri animali potrà acquisire quei diritti che non gli sono mai stati negati se non dalla mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere abbandonato senza riparazione ai capricci di un torturatore. Si potrà un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell'osso sacro sono motivi egualmente insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza paragoni animali più razionali, e più comunicativi di un bambino di un giorno, o di una settimana, o perfino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, che importerebbe? Il problema non è: "Possono ragionare?", né: "Possono parlare?" ma: "Possono soffrire?".
Eppure, dopo di lui, nonostante la pubblicazione dell'"L'origine delle specie" di C. Darwin, che definitivamente spazzò via l'idea dell'uomo del tutto estraneo agli animali, la situazione non cambiò, ad eccezione di alcune voci isolate, che iniziano, specialmente in Gran Bretagna, a proporre, con leggi, condizioni più "umane" per gli animali.
La situazione è rimasta intatta fino al 1975, anno in cui è stato pubblicato "Animal Liberation" (Liberazione Animale) da Peter Singer, professore di filosofia e direttore del Centro di Bioetica Umana presso la Monash University di Melbourne. Questo saggio, che diventerà la bibbia dell'ecologismo più estremo (vegetariano, con lo scopo di liberare gli animali dalla schiavitù) apre infine il dibattito su questo problema fino ad allora così trascurato. Singer inizia l'argomentazione dalle considerazioni di Bentham:"L'importante non è se siano intelligenti, con quattro zampe, o possano parlare, ma possono soffrire?"
Quindi, per tirare la linea di divisione tra noi e gli altri animali, non possiamo scegliere l'intelligenza, la capacità di parlare o un'altra qualità, perché così non possiamo esser certi che tutti gli esseri umani siano al di qua di tale linea: bambini, portatori di handicap, cerebrolesi sono sicuramente meno intelligenti di molti animali... Se sceglieste l'aspetto come divisione, sareste tacciati di un tipo di razzismo: lo specismo, che non è meno grave. Infatti i razzisti, quando non possono più sostenere le loro argomentazioni per provare la superiorità della propria razza su quella degli altriportano come argomentazione la razza. Lo stesso lo specista: quando non può più sostenere la superiorità di ciascun membro della propria specie, mette avanti l'aspetto. Quindi: specismo = razzismo.
Quindi la linea di divisione non può che essere la capacità di soffrire. Tutti li esseri viventi con tale qualità possono avere diritti, mentre gli altri no. Per questodevonon essere considerati solo gli esseri che hanno un interesse base alla non sofferenza, tutti gli altri no. O meglio, considerare questi ultimi solo in relazione al loro significato nella vita di esseri che possono soffrire.
Includendo gli altri animali all'interno del nostro circolo,
non significa che dobbiamo dar loro i nostri stessi diritti. Ci si deve
comportare secondo il principio dell'uguale considerazione degli interessi:
se le donne hanno il diritto di abortire, non significa che gli uomini debbano
avere lo stesso diritto... Gli animali non hanno certo un interesse al diritto
di voto, ma sicuramente a non soffrire. Quindi tra la sofferenza di un animale
umano ed uno non umano bisogna avere uguale considerazione, in quanto ambedue
hanno lo stesso interesse ad evitare la stessa quantità di sofferenza.
Ciò non significa che la morte di un animale ha lo stesso valore di
quella di un essere umano, che può pianificare il proprio futuro,
che può relazionarsi con i familiari, gli amici, che è cosciente
della propria esistenza. Ma allo stesso modo dobbiamo esser pronti ad accettare
che anche la vita di un uomo fortemente handicappato o cerebroleso non ha
lo stesso valore di quella di un animale. Con ciò non si intende che
ci si debba comportare verso i cerebrolesi come si è fatto finora verso
gli animali, ma almeno non si continui nell'attuale comportamento verso
gli animali.
Con la suddetta argomentazione si vuol far capire che una linea di separazione
non può passare secondo la linea di demarcazione della specie.
Vale la pena di rispondere a questa domanda al giorno d'oggi? In ogni caso...
Il dolore è una sensazione del tutto personale.
Non sappiamo
se una persona accanto a noi, colpito da un sasso sente dolore, ma per
analogia (noi, nella stessa situazione abbiamo sofferto) accettiamo di crederlo.
Per gli stessi motivi possiamo accettare che gli animali soffrono: sistema
nervoso simile, reazioni simili in caso di una possibile dolore, ecc. A
questo punto molti astuti potrebbero ribattere che non possiamo sapere se
anche le piante soffrono. Anche a questa domanda non varrebbe la pena rispondere,
ma per sbarrare anche questa argomentazione, risponderemo ugualmente.
La sofferenza delle piante non è mai stata provata con certezza.4In genere la natura ha sempre
fornito a tutte le creature senzienti la possibilità di sfuggire
alle sofferenze. Lo possiamo notare in noi stessi e negli altri animali.
Se veramente i vegetali potessero soffrire, essi avrebbero certamente la
possibilità di sfuggire a tutti gli eventi in qualche maniera dolorosi.
Tuttavia per refutare ogni argomentazione, ipotizziamo che anch'essi soffrano.
Per produrre un'unità di proteina carnea sono necessarie di media (dipende dall'animale predato) dieci unità di quelle vegetali, quindi anche mangiando solo vegetali si causerebbe per questi ultimi una sofferenza dieci volte minore che mangiando carne.
Ecco una frase solita dei "carnivori". Veramente non accettare di causare sofferenze agli altri animali significa disinteressarsi degli uomini?
Lasciamo da parte il caso dei vegetariani che si occupano anche di associazioni volontaristiche che aiutano i disabili, gli anziani, ecc., o gli uomini famosi come Schwartz o Gandhi, e guardiamo solamente gli effetti di una dieta non carnea. Come abbiamo già detto, con i cereali usati per nutrire un animale che produce carne, si possono nutrire dieci volte più uomini che con la sua carne stessa; si potrebbe ridurre l'inquinamento causato dai grandi allevamenti industriali, si potrebbe risparmiare acqua ed energia e si potrebbe impedire la distruzione delle foreste. Infine, se veramente i "mangiatori di carne" hanno voglia di contribuire al bene dell'umanità, con i soldi risparmiati (per il fatto che una dieta vegetariana costa meno di una carnea), potrebbero fare molte opere umanitarie.
Un'altra argomentazione abituale contro il vegetarianismo.
Noi certamente potremmo vivere senza mangiare carne, ma loro? Di solito gli altri animali sono guidati dall'istinto, mentre noi abbiamo la possibilità di scegliere due modi di vivere, o due diete. Quando ci fa comodo, compariamo la loro intelligenza alla nostra, quando no, diciamo che sono esseri inferiori. Vogliate notare che questa non è una contraddizione nel mio ragionamento, in quanto non ho mai detto che gli altri animali sono intelligenti come noi, ma ho detto, che un tale metro di giudizio non è quello giusto per dare dei diritti.
Secondo tutto questo ragionamento dovremmo diventare subito vegetariani. Mi piace questa idea e combatterò per essa, ma sono anche realista e so che un passo simile è abbastanza brusco da un momento all'altro: cambiare dieta con le molte conseguenze che ne seguono (sebbene per me anche ciò non assolve questa non scelta). Ma almeno potremmo iniziare a far cessare i più crudeli utilizzi degli animali: le pellicce, la caccia, la vivisezione, i giochi con gli animali, i giardini zoologici, i circhi con gli animali
1 Genesi, 1, 24-28.
2 Politica, I, (A), 8.
3 Lezioni di etica.
4 Alcuni anni fa il libro La
vita segreta delle piante asserì che le piante possedono diverse,
capacità, tra cui quella di soffrire; ma tutti gli altri esperimenti
presso le università diedero esito negativo, smentendo il succitato
libro (Natural History83 (3), marzo 1984, pag. 18).