Dialetti e osterie

Una delle ultime “boutade” dell’estate, eufemismo per ca***te, tirata fuori, tanto per cambiare, dalla Lega è quello dell’insegnamento dei dialetti a scuola e tralasciamo le esternazoni sull’Inno dei Mameli, sui test per gli insegnanti di fuori regione, per poter insegnare, e cavolate varie.

Questa difesa ad oltranza dei dialietti da parte dei leghisti rischia di far diminuire d’importanza i dialetti e di farli passare come una cosa politica di esclusivo dominio di questi signori (altro eufemismo) della Lega. Ed invece i dialetti sono una cosa seria che non bisogna lasciare in mano ai frequentatori delle osterie padane.
Per comprendere a fondo di cosa si parla è necessario un piccolo approfondimento linguistico.

Qual è la differenza tra i dialetti e le lingue?

Ebbene la differenza tra i dialetti e le lingue, praticamente non esiste. Quando si vuole definire un dialetto lo si fa con una “battuta”: “un dialetto è una lingua senza esercito”, questo per far capire quanto sia difficile differenziarli linguisticamente.
I dialetti in Italia, in genere, sono delle modifiche del latino nel corso dei secoli (come metafora prendete un fiume ghiacciato in superficie → il latino classico – e l’acqua che scorre sotto il ghiaccio è il latino parlato che durante l’Impero Romano si evolve sempre più). Dopo la caduta dell’Impero Romano (= rottura del ghiaccio) il latino parlato, già abbastanza differenziatosi, si va sempre più allontanando dalla lingua originaria. La divisione dell’Italia in molti staterelli non fa che accentuare le differenze e l’evoluzione di ciascun dialetto, in vere e proprie lingue che con il passare dei secoli risultano incomprensibili le une alle altre, quanto più sono lontane geograficamente.

Gli attuali dialetti quindi non sono altro che il latino evoluto e non come alcuni pensano (almeno in centritalia, storpiature dell’italiano (toscano).

Ogni dialetto, appartenendo a delle comunità da secoli, fa parte delle radici di queste comunità, e più sono piccole, tali comunità, più queste lingue sono identificative delle loro radici. La scomparsa di un dialetto è come il taglio delle radici di una pianta, una perdita di identità che non si può più recuperare. Scomparso un dialetto si perde un pezzo d’identità e non ne rimane testimonianza vivente. Persa l’identità tutto si appiattisce e gli individui di queste comunità diventano come pecore di in un gregge, non più riconoscibili dalle altre.

E quindi, è giusto insegnarlo a scuola?

Sì, certo, ma a quella scuola speciale che è la vita, la strada, la famiglia. Il dialetto andrebbe parlato in famiglia senza vergogna (se si tratta di famiglia uniforme: in cui ambedue i genitori parlano lo stesso dialetto). Purtroppo esistono politici che aprono bocca e danno fiato, senza collegare il cervello e così ci ritroviamo delle proposte insensate e irrealizzabili, se va bene, altrimenti realizzabili a chissà che costi.

Perché?

Ci sono diverse ragioni (lo so che parlare di ragione con alcuni politici è come parlare cinese con un padano).

Per prima cosa: una regione può anche avere un dialetto più o meno uniforme, ma non sempre è così; i dialetti non hanno confini ben definiti e non sono localizzati precisamente. Paesi o città vicine, possono avere dialetti diversi, E allora, quale dialetto insegnare? Quello della città in cui ha sede la scuola? Quello della maggioranza? E allora che facciamo? Prima diciamo che ogni dialetto ha una sua dignità e poi diciamo che alcuni ne hanno più di altri?

Chi saranno gli insegnanti e quanti saranno necessari? Dove verrà trovato l’insegnante di un determinato dialetto, specialmente per quelli di piccole comunità, in cui magari non esiste alcun insegnante di lingua? Oppure questi insegnanti dovranno prima imparare il dialetto che dovranno insegnare? E poi se verranno trasferiti nella scuola della città confinante, ne dovranno imparare uno nuovo oppure non avranno diritto di insegnarlo?

E gli alunni? Accade spesso che una famiglia si trasferisca in un paese a poca distanza, e i figli che faranno, inizieranno ad imparare un nuovo dialetto a scuola? Se si tratta di materie comuni come l’italiano o la lingua straniera, tutte le scuole insegnano pressoché le stesse nozioni, ma nel caso del dialetto dovrebbero impararlo da capo, e così avremo le classi differenziate non solo per gli extracomunitari ma anche per i bambini che hanno traslocato da una città all’altra.

Il dialetto come detto in precedenza, si parla sulla strada con gli amici, i compagni di giochi o in famiglia. È lo strumento di comunicazione di più basso livello: quello per comunicare con gli individui più vicini. Ad un livello maggiore si trova l’italiano, per comunicare con tutti gli altri nostri connazionali fuori della cerchia del dialetto, che a questo punto potrebbero essere anche gli abitanti di un paese vicino, che ha un dialetto diverso. E siccome al livello base, la “vita” stessa generalmente insegna il dialetto, l’italiano deve essere insegnato a scuola e deve correggere le abitudini acquisite parlando una lingua di strada.

L’esperienza prova che i bambini possono imparare tre lingue simultaneamente (ad es. lingua materna, lingua paterna e lingua dell’ambiente frequentato) quindi non c’è alcun problema nell’imparare il dialetto e la lingua nazionale. Quindi la situazione attuale già andrebbe bene, anche se una maggiore valorizzazione dei dialetti sarebbe auspicabile, in special modo una sensibilizzazione alle famiglie a non rimproverare i figli quando lo parlano (in questo caso parlo della situazione che è venuta a crearsi nel mio paese, dove il dialetto sembra una storpiatura dell’italiano e non piace ai genitori).

I dialetti sono una cosa troppo seria per lasciarli in mano a questi individui.

Infine, sopra ho parlato di due livelli di comunicazione, quello più basso, occupato dal dialetto, e il secondo livello, quello occupato dalla lingua nazionale. Ma ce ne sarebbe un terzo, quello per la comunicazione inter-nazionale. Questo posto dovrebbe essere occupato non da una lingua nazionale, per ovvie rragioni, ma da una lingua che abbia alcune qualità fondamentali: la neutralità, per non favorire nessuno, la facilità, per dare la possibilità a tutti, anche a chi non è portato per le lingue, di impararla.

Be’, alla luce di queste qualità, attualmente, l’unica lingua che potrebe occupare questo posto è l’esperanto.

Ma questa è un’altra storia…
 

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La truffa del SuperEnalotto

In questi giorni c’è molto movimento, come di solito regolarmente accade quando il montepremi del SuperEnalotto raggiunge delle cifre inimmaginabili. Tutti fanno progetti sognando di vincere il montepremi attuale che si aggira sui 119 milioni di euro, e non pensano minimamente alle possibilità che esistono di mettere mano su tale montepremi.

Il nostro SuperEnalotto è il gioco più sbilanciato che esista al mondo. Nel senso che è quello che dà meno possibilità di vincere e conseguentemente paga meno di tutti in proporzione a tali possibilità.

Che significa?

Se qualcuno scommettesse con voi con una moneta a testa o croce e vi proponesse: “se viene croce ti do un euro, se viene testa tu me ne dai 10”, cosa gli rispondereste? Che è un parac… e che non giocate. Questo perché ci sono il 50% per ciascuno che esca o testa o croce e pertanto le possibilità sono 1 a 1, quindi affinché la scommessa sia “giusta” dovrebbe essere 1 euro contro 1 euro.

Nella roulette le possibilità che esca un numero sono 1 su 37 (c’è anche lo zero) e se si vince si guadagna 36 volte la posta (per essere del tutto giusta dovrebbero essere 37 volte, ma si può comprendere che ci sia un “rimborso spese” per chi organizza (tenete a mente che in Italia i casinò sono vietati – ad eccezione di 3-4, in quanto il gioco d’azzardo è vietato).

Il gioco del lotto è molto meno favorevole.

Ecco le probabilità:

Ambo -> 1 su 400,5 e paga 250 volte la puntata;
Terno -> 1 su 11.748 e paga 4250 la puntata;
Quaterna -> 1 su 511.038 e paga 80.000 la puntata;
Cinquina -> 1 su 43.949.268 e paga 1.000.000 la puntata.

Come si può notare, più le possibilità sono minime e molto meno, proporzionalmente, si guadagna. Di fronte a quasi 44 milioni di combinazioni viene pagato solo 1 milione di volte la posta (riprendete in considerazione l’esempio iniziale del testa o croce e comparatelo con 1 euro se vincete voi, mentre ne pagate 44 se vince l’altro).

Ed ora veniamo al SuperEnalotto. Quante possibilità ci sono di imbroccare la sestina?

Una su 622.614.630.

Quanto è grande questo numero? Se vi proponessero di vincere 119 milioni di euro non appena aveste finito di disegnare 622.614.630 puntini su uno (o più) quaderni, accettereste? Se avete letto il post sulle Stelle vi sarete fatti un’idea, se non l’avete fatto, ricapitoliamo i calcoli. Quanto tempo ci mettereste a disegnare questi puntini? 10 ore, 1 giorno, 10 giorni o più? Provate a calcolare poi continuate a leggere.

Ecco la soluzione:
Qualche giorno meno di 20 anni. Contando 24 ore su 24 senza dormire e senza mangiare (se dormite 6 ore e un paio di ore li usate per mangiare, ci vorrebbero poco più di 26 anni). Siete ancora decisi a dare in cambio 26 anni della vostra vita per 100 milioni di euro?

Se si trattasse di testa o croce, è come se il vostro avversario vi pagasse 1 euro e voi pagaste 600 milioni di euro (all’incirca). Siccome voi pagate solo un euro, è bene aggiungere una spiegazione: è come se giocaste con una moneta truccata in cui esce 622.614.629 volte croce e 1 volta testa. Naturalmente non si sa quando esce testa… Ma nel caso che trattiamo, il SuperEnalotto, è addirittura più sbilanciato in quanto se vincete, non vincete 622 milioni di euro, ma solo il montepremi di 119 milioni di euro, se va bene e se nessun altro lo azzecca.

Qualche ulteriore chiarimento: i sistemi non servono a vincere più facilmente ma solo ad agevolare la scrittura delle colonne. 100 euro di sistema corrispondono a 100 euro di colonne, solo che le 200 colonne (mi sembra costino 50 centesimi a colonna) vengono scritte in maniera abbreviata, mentre nella maniera tradizionale dovreste scrivere 200 volte la sestina.

Altro chiarimento che serve principalmente per il Lotto (in quanto si possono giocare anche numeri singoli). Ad ogni estrazione tutti i numeri hanno la stessa probabilità di uscire, indipendentemente da quante estrazioni non escano. Se il 53 non esce da 300 estrazioni, alla 301ma estrazione ha la stessa probabilità di uscire che gli altri 89 numeri. Molti giocatori erroneamente invocano la legge dei grandi numeri, ovvero che dopo una lunga serie di mancate uscite ci sono più probabilità che venga estratto. È una grande sciocchezza! La legge dei grandi numeri non dice questo.

La legge dei grandi numeri, applicata alle estrazioni del lotto, dice che se si esaminano i numeri estratti, scegliendo a caso tra un grande numero di estrazioni, avremo una media di uscita simile per tutti i numeri. Più sono le estrazioni che esamineremo più tale media sarà simile tra i numeri.

Alla luce di quanto sopra chiarito appare evidente che il comportamento dello Stato è un po’ schizofrenico. Non permette il gioco d’azzardo (a parte le eccezioni di pochi casinò) per dei giochi molto più “onesti” di quelli organizzati dallo Stato stesso. Se pensate che il gioco delle tre carte da il 33% di possibilità di vincere sembra assurdo che venga vietato a fronte di un gioco come il Lotto o il SuperEnalotto in cui lo Stato incassa cifre veramente ragguardevoli in cambio della distribuzione di pochi spiccioli. E non si pensi che si tratta solo della spesa di alcuni euro, in quanto esiste gente che per correre dietro a numeri “ritardatari”, al Lotto, si è rovinata. Mi sembra chiaro allora che il SuperEnalotto sia praticamente una truffa legalizzata, solo che poiché “ruba” pochi spiccioli a ciascuno di noi, non appare una vera e propria truffa.

Volete veramente vincere? Decidete quanto volete giocare.

10 euro? Bene.

Andate fino alla ricevitoria e invece di entrare, all’ultmo momento tornate indietro.

Avrete vinto 10 euro. E li vincerete ogni volta che lo farete.


 

Consigli per approfondire (necessaria un po’ di dimestichezza con la matematica)

Regole matematiche del gioco d’azzardo – Perché il banco non perde mai – A cura di D. Costantini e P. Molinari, Muzzio Editore

Febbre da gioco – Esistono sistemi sicuri per vincere? – Ennio Peres, Avverbi edizioni

 

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